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MUSICHE SPARSE NELL’ALTROVE DEI VIDEOGIOCHI

di Federico Ercole
 
PARTE I

La musica nel videogioco è materia costituente l’esperienza del giocare, inscindibile da questa in una maniera che può essere talvolta sublime, ingombrante, non inclusiva o solo funzionale. La musica è inoltre complessa da contenere, perché può essere oltre l’immagine e senza l’immagine, emanciparsi da questa per appiccicarsi ad altro, trascendendo l’opera per cui è composta. Così è per ogni musica, anche quando scritta per essere solo tale, ovvero note indipendenti e libere da ogni altro contesto, musica assoluta.

Tuttavia, a differenza di ciò che avviene con la colonna sonora di un film, quella di un videogame è in parte “suonata” anche da chi gioca tramite una prestazione, come i salti o i pigolii delle monete raccolte in Super Mario Bros che contrappuntano il tessuto della partitura di Koji Kondo. Oppure quando segue l’andamento di una sceneggiatura interattiva, il movimento e l’azione lungo le ambientazioni o si adatta in maniera procedurale all’esperienza del singolo come, ad esempio, in No Man’s Sky. La musica è comunque sfuggente, anche nei videogiochi, sempre sul punto di distaccarsi dalle immagini ed essere altro, in un tempo e in uno spazio diverso, adattandosi per sopravvivere oltre l’ambito “giocoso” per cui è stata pensata ed eseguita e connettersi a qualcosa dalla quale era prima aliena, per farne infine parte, come un benigno, raramente maligno, parassita.

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Nello spazio infinito di No Man’s Sky

Se si considerano alcuni temi di Nobuo Uematsu che ricorrono in innumerevoli Final Fantasy, ad esempio, quelle melodie che identificano la serie nella sua “stimmung” generale, oppure la vittoria o i combattimenti, questi cessano di essere la musica della quarta fantasia finale per appartenere poi alla sesta, alla settima e infine alla sedicesima, per poi andare oltre il gioco ed essere magari ascoltati durante la quotidianità e incollarsi ad altre emozioni e situazioni.

Insomma, la musica è materia immensa che trascende sempre i motivi per la quale è stata composta, anche quella più alta e coerente al contesto, come quella scritta da Richard Wagner per il suo Anello del Nibelungo (leggerete a proposito più avanti qui). Dunque, è quasi un’utopia tentare un discorso teorico e sintetico anche solo attorno a quella per i videogiochi. Andrò quindi alla deriva in una sorta di rapsodia, da un gioco all’altro in una disorganicità comunque “cucita”, alla ricerca di suoni perduti nei ricordi di esperienze videoludiche recenti o remote, suoni trasformati dal tempo e dal vivere, musiche dall’utilizzo esemplare o persino esecrabile.

IL SUONO DELLA NATURA

Nelle ultime due leggende di Zelda, quei capolavori di game design e avventura che sono Breath of the Wild e Tears of the Kingdom, c’è una sintesi inedita, almeno nei videogiochi, tra i suoni della natura e la musica, tra panorama e interiorità. La colonna sonora interviene di rado, quasi sottomessa, quando viaggiamo o sostiamo per le terre selvagge, risultando una vaga e quasi effimera sostanza emozionale. Pochi accordi, un tema accennato o una melodia sospesa cedono al ruscellare della pioggia, al rombare di tuoni e fulmini, si mischiano con il vento per essere portati via da questo, trascorrono del canto degli uccelli.

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Link, il celebre eroe della saga di The Legend of Zelda
 

La musica torna a dominare, a farsi esplosiva e significativa solo nei segmenti più importanti e narrativi, quando l’emozione si fa travolgente per il protagonista, Link, o per il giocatore. Risulta eccezionale, ad esempio, per la sua calcolata rarità, l’utilizzo del tema classico e ormai ancestrale di Link che ricorre in tutti i The Legend of Zelda. Qui la musica si fa innaturale, si potrebbe pensare, ma non è così perché diviene solo umana e troppo umana, il risuonare epico o dolente dell’anima, le parole inespresse di Link. Anche nei villaggi o negli stallaggi, luoghi comunque abitati, risuona una musica distintiva che illustra la civiltà, il suono di una società e di una cultura, l’espressione di una comunità.

PLANKTON ELETTRICI

Nel 2005 uscì il titolo musicale più originale e importante della storia del videogioco, una purtroppo irripetibile opera pensata per il Nintendo DS da Toshio Iwai, che vinse nel 1997 il Prix Ars Electronica per Music Play Images X Images Play Music, una performance con Ryuichi Sakamoto, artista e musicista che ha inoltre progettato e realizzato alcune istallazioni che furono esposte al Museo Ghibli. Si tratta di Electroplankton, meraviglia liquida di suoni e immagini che  qui sono connesse come in nessun’altra opera interattiva perché è il giocatore a produrre musica sempre differente interagendo con il pennino della console, toccando lo schermo dove sguazzano diverse categorie di fantasiose creaturine acquatiche. Una musica che rimane sempre e solo identificabile con le immagini perché è transitoria e momentanea, non si può registrare se non tramite complessi artifici e quindi risulta intima, esclusiva del giocatore, personale e squisitamente effimera. Electroplankton è un motore unico di visioni e musica, uno strumento più che un videogioco. “Non si gioca ma si suona, in inglese sarebbe lo stesso”, d’altronde Toshio Iwai considerò il NES una macchina venuta dal futuro per permettergli di creare liberamente e in tempo reale immagini e suoni.

L’ADDIO DI WOTAN, SHERRY BIRKIN E IL CAPO IRONS

Ci sono voluti anni di una personale terapia musicale e filosofica per superare quel piccolo “trauma” causatomi da un segmento del, comunque, più che valido remake di Resident Evil 2. Può sembrare una cosa sciocca e incomprensibile, almeno se non siete wagneriani, ma non sarò l’unico tra questi ad avere vissuto il rifacimento con passione così come il solo ad avere sofferto quella determinata sequenza di gioco.

Succede durante l’avventura di una dei due protagonisti, Claire Redfield. Quindi se avessi scelto l’altro protagonista, Leon Kennedy, e trascurato la prima il mio orecchio non sarebbe stato ferito durante la digressione all’orfanotrofio in cui si controlla la piccola Sherry Birkin, un momento di gioco altrimenti notevole che ricorda quei brividi d’impotenza e fuga alla Clock Tower e Haunting Ground.

Il problema è che durante queste scene terrificanti e crudeli l’infame Capo della Polizia Irons ascolta lo struggente finale de La Walkiria, quell’addio altissimo e doloroso dello stanco dio Wotan alla figlia Brunilde, un commiato straordinario di musica e poesia. Wotan addormenta l’amata figlia in cima ad un monte, obbligato suo malgrado a punirla per quelle stesse leggi che lo rendono dio, la spoglia della sua divinità e la cinge di fiamme che solo chi sarà “più libero di me, che sono un dio” potrà superare, colui “che non teme il potere della mia lancia” forgiata con la legna di Yggdrasyl e sulla quale sono incise le rune che lo rendono dio degli dèi. A liberare e risvegliare Brunilde sarà il non ancora nato Sigfrido, ci dice il tema che risuona per l’orchestra tra gli altri assai più dolorosi e disperati. Questa musica e quelle parole nelle quali c’è lo strazio di un distacco definitivo che trascende il contesto dell’opera per divenire universale, si sono quindi inevitabilmente incollate all’orribile Irons, risultandomi impossibile per lunghi mesi riallacciarle alla loro origine, tornare ad amarle come prima. Anche Francis Ford Coppola utilizza Wagner in Apocalypse Now, nella celebre scena degli elicotteri, la famosissima Cavalcata delle Valchirie, ma è diverso: c’è una corrispondenza, un significato nell’accostare quella musica con quelle immagini, d’altronde queste sono fanciulle bellicose e un po’ rozze (ma non Brunilde) che volano sui campi di battaglia per riscattare eroi defunti. Invece Capcom sembra utilizzare quella musica a caso, o forse perché vittima del discutibile cliché che accosta Wagner al nazismo, una storia lunga e complessa che non è qui il caso di trattare.

Sarebbe stato più indicato usare un’altra musica, qualcosa di meno profondo e significativo, un brano d’operetta magari, affinché l’identificazione con l’orrore non fosse così offensiva e dannosa per un capolavoro assoluto della storia dell’umanità.

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Claire Redfield e Sherry Birkin di Resident Evil 2

CHOPIN NELL’ALTROVE

Sul letto di morte parigino, il compositore polacco Fryderyck Chopin, estintosi nel 1949 a soli 39 anni a causa della tubercolosi, è destinato a vivere un’epopea fantasy nello stile dei grandi giochi di ruolo giapponesi. Ecco dunque Eternal Sonata, uno dei videogiochi più interessanti e ispirati di questo genere, un’opera forse troppo sottovalutata ma unica e originale di Tri-Crescendo, già responsabile di giochi memorabili come Star Ocean e Valkyrie Profile.

Sebbene la colonna sonora di Eternal Sonata sia composta dal bravissimo e prolifico Motoi Sakuraba, autore di innumerevoli colonne sonore che vanno dai titoli della saga Tales Of a quelli della saga di Dark Souls, durante lo svolgimento del gioco ci sono momenti di pura didattica in cui, ascoltando brani di Chopin, si narra in maniera documentaristica la storia del grande compositore. Mi è capitato sovente di vagheggiare un seguito di questo viaggio favoloso, un Eternal Sonata 2 e 3 con protagonisti Wolfgang Amadeus Mozart e Franz Schubert, quei musicisti esemplari e fondamentali che la morte ha colto troppo presto e ai quali la fantasia umana potrebbe riservare un’epopea come quella “vissuta” da Chopin.

ABBANDONATO, DIMENTICATO E SENZA ALCUN AMORE

Amato e a mio avviso odiato in una maniera che non comprendo da innumerevoli giocatori, il cult apocalittico The Last of Us fa un utilizzo esemplare di un brano su licenza, ovvero quel classico piangente di Hank Williams che è Alone and Forsaken (notevole e da ricercare è la cover punk-rock che di questa faranno i Social Distortion nell’album Hard Times and Nursery Rhymes).

La canzone in questione diviene elemento integrante del tessuto narrativo quando Joel ed Ellie si allontanano in auto dai luoghi dove hanno vissuto la storia di Bill, viaggiando verso Pittsburgh. I due ascoltano una vetusta audiocassetta alla radio e così Alone and Forsaken risuona fino all’arrivo in città, stabilendo un ponte sonoro dapprima idilliaco e poi tragico. Qui, mentre ancora si ode la voce di Hank Williams, la coppia viene assalita da una banda di predoni e l’auto si ribalta. Nei panni di Joel, il giocatore comincia a sparare e a celarsi ma al suono di grida e proiettili, dal cadavere della macchina, la canzone continua a suonare nell’ambiguità: che sia divenuta colonna sonora del momento di gioco o effettivamente l’autoradio funziona ancora mentre l’automobile è ormai morta? Uno dei momenti più ispirati di un grande videogioco, una canzone che si incolla ad un evento specifico senza perdere nulla del suo valore e della sua identità, assecondando l’attimo per poi tornare ad essere quello che è sempre stata.

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Joel mentre parla ad Ellie, tratto da The Last of Us Parte I

LEGGENDE BRUTALI

Che gioco fuori dall’ordinario Brütal Legend, fenomenale tributo al Metal e al suo immaginario di Double Fine, in cui si controlla un gigantesco Jack Black, “roadie” predestinato a penetrare nell’oscuro ed epico regno favoloso del metallo pesante. Il protagonista interagirà con leggende del Metal che danno voce e corpo a personaggi che divengono subito icone: artisti stellari come il compianto Lemmy Kilmister dei Motorhead nel ruolo di Killmaster, Rob Halford dei Judas Priest che interpreta il Barone, Ozzy Osbourne che fa il Guardiano, Lita Ford come eroica principessa.

Sebbene manchino purtroppo le canzoni di band che sarebbero state davvero indicate per accompagnare Brütal Legend, come i Metallica o gli Iron Maiden (ma il personaggio di Black si chiama Eddie, come la loro putrefatta mascotte), la colonna sonora del gioco è ricchissima e impressionante: dagli Anthrax agli Slayer, dai Judas Priest ai Testament, dai Manowar agli Iced Earth, dai Mastodon ai Megadeth, dai Motorhead ai Sanctuary, dagli Orverkill agli Accept…

In questo caso la musica non si disconnette mai dalla sua essenza, non si appiccica in modo innaturale al gioco, non è turbata dalle immagini ma permane se stessa con forza e potenza mai sottomessa, ritrovandosi in una visione ed in un gioco che sono pensati per esaltarla, che nasce e finisce nel Metal.

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Brütal Legend in azione

OCEANI SONORI

Pochi frammenti di partiture immense nello spazio numerico dei videogiochi, note che si spargono oltre di questi e che si trasformano, restano tali, si perdono da qualche parte nella memoria, invecchiano o rinascono. Mari di musica, anzi oceani che si agitano o permangono quieti. C’è così tanta musica nei videogiochi, forse più di quella che tutto il cinema può contenere. È una questione di tempo, perché il videogioco tende a dilatarsi fino a lunghezze smisurate e ha sempre bisogno di suoni. E c’è ancora tanto da scrivere anche a proposito di chi quella musica la compone, musicisti tra i più fecondi e sperimentali degli ultimi decenni, tra i più talentuosi della storia recente, nuovi autori per una musica nuova anche quando risuona antica. E avremo modo di parlarne.

 

 federicodercole

Federico Ercole scrive di videogiochi per Il Manifesto, Dagospia ed Everyeye.
Ha collaborato con Rolling Stone Italia, Playstation Official Magazine e Sky.it.
Ha lavorato per il programma Fuori Orario di Enrico Ghezzi per le visioni videoludiche.
Scrive inoltre di cinema, musica e letteratura.

 

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