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Un invito rivolto alla politica per permettere a un intero comparto di sbocciare

di Carlo Terzano - @Carlo_theThird

Si fa presto a dire “Press Start to Play”. Dietro a ogni videogioco, infatti, ci sono persone (tante), ore di lavoro (tantissime) e soldi investiti (vagonate). Perché i videogiochi saranno anche l’ottava arte, ma restano un comparto economico e come tale hanno bisogno, soprattutto in un periodo storico come questo, di investimenti, linee di credito e sussidi. In questo articolo ci concentreremo proprio sul ruolo giocato, nell'industria, dagli aiuti dei vari stati. Prossimamente analizzeremo il ruolo fondamentale di venture capitalist, piattaforme di fund raising e private equity.

VECCHIA EUROPA, GIOVANI VIDEOGIOCHI

Solo in Europa, gli Stati che hanno scommesso sul comparto - come la vicina Polonia, il Regno Unito, la Germania o l’ancor più vicina Francia - oggi godono di un tessuto industriale di primaria importanza. Pensiamo a titoli del calibro di Cyberpunk 2077, Dead Island e The Witcher. Che cosa hanno in comune oltre al fatto di essere blockbuster videoludici? Esatto: sono stati sviluppati in Polonia.

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Uno scorcio di Night City, la città di Cyberpunk 2077

La Borsa di Varsavia ha un indice ad hoc per il videoludo e il governo polacco ha inondato le software house con fiumi di denaro: la sola CD Projekt Red nel 2016 ha beneficiato di una sovvenzione di oltre 6 milioni di dollari. In Germania, la locomotiva industriale d’Europa, le sovvenzioni al settore hanno fatto sì che nel 2017 il comparto videoludico abbia registrato ricavi per circa 2,1 miliardi di euro: un importo reso ancora più significativo dal fatto che nello stesso anno l’industria musicale si fosse fermata a 1,6 miliardi. E non è detto che gli aiuti alla categoria debbano per forza arrivare sottoforma di sostanziosi assegni.

 

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Tra tramonti, spiagge e zombie in Dead Island 2

Il presidente francese Emmanuel Macron, mentre in pubblico demonizza i videogiochi accusandoli di essere all’origine del disagio giovanile che cova sotto la cenere delle rivolte, nel settembre 2022 aveva voluto annunciare in prima persona che la Francia avrebbe organizzato e ospitato due grandi eventi di esports nel 2023 e nel 2024. Mentre l’anno prima, elargendo a milioni di giovani i 200 euro del cosiddetto GPS della Cultura - un bonus simile a quello ideato qui in Italia dal governo Renzi - aveva detto: “Che siate appassionati di film, musei, romanzi, manga, videogiochi, rap, metal, abbiamo creato il pass culturale per voi” lanciando un messaggio importante a un settore che ha bisogno, oltre dei soldi, soprattutto di una validazione di stampo politico che lo includa nel mondo della cultura. In Italia, il bonus cultura varato nel 2015 non copre le spese di videogiochi, mentre permette l’acquisto di CD musicali e biglietti del cinema.

 

IL RITARDO ITALIANO

Come si vede il nostro Paese in ambito videoludico è ancora parecchio indietro, culturalmente ed economicamente, anche solo rispetto agli altri Stati europei, mentre sarebbe inutile un raffronto con le vere potenze del videoludo, quel duopolio USA-Giappone che è stato spezzato con l’arrivo baldanzoso della Cina.

L’Italia paga anzitutto lo scotto di non aver mai creduto per davvero nelle startup, la forma societaria che, per forza di cose, più si adatta a quella assunta da giovani software house videoludiche appena lanciate, magari dopo un periodo di incubazione universitaria. Risale ormai a 11 anni fa il cosiddetto Startup Act, la normativa che ha definito le caratteristiche delle startup innovative, ne ha istituito il registro e ha promosso misure di sostegno per favorirne la crescita e lo sviluppo. Una legge preziosa, che però avrebbe avuto bisogno di tagliandi e upgrade di varia natura. C'è voluto più o meno lo stesso periodo di tempo affinché vedesse la luce il Tax Credit esteso anche ai videogiochi, introdotto con l’articolo 15 della legge “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo” del 14 novembre 2016, n. 220 poi rimasto al palo fino al DM del 12 maggio 2021 recante “Disposizioni applicative in materia di credito di imposta per le imprese di produzione di videogiochi di cui all’articolo 15 della legge 14 novembre 2016, n. 220”.

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Steel Seed, uno dei videogiochi italiani che ha ottenuto il Tax Credit Videogiochi, realizzato da Storm in a Teacup

Il Tax Credit è una misura pensata per il sostegno del mondo del cinema: averla aperta ai videogiochi non è solo un importante aiuto economico, dal momento che riconosce un credito di d’imposta pari al 25% dei costi eleggibili di produzione di un prodotto, fino all’ammontare massimo annuo di 1 milione di euro per impresa o per gruppo di imprese, ma costituisce pure quell’imprimatur di natura politica che il settore va cercando. Anche e soprattutto in Italia.

IL SETTORE VIDEOLUDICO ITALIANO IN NUMERI

Ma siamo solo agli inizi, tanto altro deve essere fatto. Non lo dicono solo gli esperti del settore e gli imprenditori di quel comparto: lo denunciano apertamente i numeri. Al pari degli altri comparti economici del nostro Paese, anche questo è affetto dal dilagare di un nanismo imprenditoriale: pochi colossi, tanti nanerottoli.

Quattro imprese su dieci, infatti, rientrano oggi nella definizione di PMI: era il 30% nel 2021 e appena il 17% nel 2018. Secondo la fotografia scattata da IIDEA - l’Associazione di riferimento che rappresenta l’industria in Italia - per l’anno 2022, si registrano piccoli e incoraggianti passi avanti, non ravvisabili ancora nei fatturati, quanto nella crescita delle imprese con un numero di addetti tra i 10 e i 20, che passano dal 15% del 2021 al 20% attuale. Anche i bilanci comunque migliorano, se si considera che il fatturato generato dalle imprese di produzione si aggira nel 2022 tra i 130 e i 150 milioni di euro, segnando un +30% rispetto all’anno precedente. Il mercato principale di destinazione rimane quello europeo, che esce però ridimensionato (dal 60% nel 2021 al 43%) a beneficio di quello nordamericano, la cui incidenza sul totale passa dal 25% del 2021 al 40% del 2022. Limitato il peso dell’Italia, per quanto in leggero aumento (7%).

Un nanismo imprenditoriale che non solo ci sbatte ai margini del comparto europeo e alle estreme propaggini di quello mondiale, ma che impedisce anche alle software house di casa nostra di avere le risorse, umane ed economiche, per lo sviluppo dei titoli “tripla A”.

Ma qual è il costo necessario per sviluppare videogiochi del genere? Com’è strutturato il mercato globale? Cosa ci aspetta una volta varcata la soglia di casa? Domande importanti, che meritano una risposta e di cui parleremo.

carloteranzao

Carlo Terzano è caporedattore di StartupItalia e collabora quotidianamente con la testata Startmag dove scrive e approfondisce temi legati all'innovazione e all'economia. Ligure, laureato in legge, formatosi professionalmente al Master post-laurea della Scuola di giornalismo dell’Università milanese IULM è giornalista politico ed economico, ha collaborato e collabora anche con Radio 24, R101, Formiche, Corriere Innovazione e Lettera43.it.

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