AUTORIALITÀ NEI VIDEOGIOCHI AAA È POSSIBILE E NECESSARIA
di Alessandra Contin
C’è un uomo ed è reale, si chiama Sami Antero Järvi. C’è il personaggio di un videogioco, si chiama Alex Casey ed è un agente dell’FBI. C’è un personaggio, si chiama Alex Casey ed è il protagonista di una serie di romanzi polizieschi di successo scritti da un autore fittizio che si chiama Alan Wake.
C’è poi un palco reale, quello dei The Game Awards 2023, dove si esibisce la band assolutamente fittizia degli Old Gods of Asgard che però entra nella top 10 globale degli album più scaricati su iTunes grazie al disco Rebirth: Greatest Hits.
Alan Wake 2, di Remedy, ai TGA 2023, ha vinto tre dei più importanti premi in palio: narrativa, miglior direzione artistica e miglior regia. Poco dopo l’evento, Variety ha inserito il suo direttore creativo, Sam Lake, tra le 500 persone più influenti nell'industria globale dei media.
I protagonisti di Alan Wake 2
Il ciclone Alan Wake 2, oltre a sorprendere, ha riportato in auge un discorso sopito da tempo, quello del videogioco d’autore o se preferite quello dell’autorialità nelle opere videoludiche. Si tende ad associano tale dicitura all’emergere di alcuni game designer nipponici legati dell'era d’oro PlayStation, momento in cui hanno potuto firmare le proprie opere. In quel periodo emergono figure come Hideo Kojima, Shinji Mikami o Fumito Ueda. Anche se il videogioco d’autore ha una storia ben più lunga, questi designer hanno imposto prepotentemente la loro visione sull’esperienza totale che il videogiocatore ha giocando alle loro opera. I loro videogiochi incorporano canoni estetici facilmente identificabili e non sempre legati da altri media, come il tanto citato cinema.
Troppo spesso un autore come Kojima è etichettato come il maestro della regia, viene invece trascurata la sua capacità di usare musica fortemente evocativa nella realizzazione della sua visione. Analizzando il piano sequenza di Metal Gear Solid: Ground Zeroes e il momento in cui entra il brano Here’s to You, composto da Joan Baez e orchestrato da Ennio Morricone, si comprende l’emozione che l’autore vuole suscitare, che tipo di immagini desidera richiamare nella mente del giocatore. Un’impronta riconoscibile che nel caso, ad esempio, di Fumito Ueda è totalmente contraria dato che il game designer lavora ed esalta l’architettura dei silenzi.
L’autorialità non è dunque la mera cooptazione di canoni e stilemi appartenenti ad altri media applicati al videogioco, ma una visione personale che l’autore ha del medium stesso e del suo rapporto con il videogiocatore. Medium che a volte viene negato per ricordare che un videogioco è fatto di codice, come dice Shigeru Miyamoto, ma anche dell’immedesimazione e dalla capacità immaginifica di chi lo gioca. È quello che ribadisce Neil Druckmann in The Last of Us Left Behind quando fa giocare Ellie, e di conseguenza il giocatore, a un vecchio picchiaduro arcade solo immaginandolo, usando il potere della parola.
Un’immagine con Ellie (sulla sinistra), protagonista della serie The Last of Us.
L’autore è dunque, nella sua essenza universale, colui che plasma un’opera con una visione specifica, traducendola in una serie di scelte formali che conferiscono al suo lavoro un carattere peculiare e altamente riconoscibile. La cifra stilistica si manifesta attraverso l’insieme dei suoi lavori, creando una coerenza distintiva e, in alcune circostanze, anche una singola opera può presentare elementi così peculiari da renderla inequivocabilmente autoriale.
Nel campo dei videogiochi si riconosce, soprattutto oggi, una chiara volontà “autoriale” al mondo della produzione indie, dove gli sviluppatori hanno maggior libertà artistica pur perseguendo un intento commerciale. Quando si parla invece di videogiochi AAA, le opere particolarmente autoriali sono sovente fortemente divisive, come i titoli sviluppati dalla Quantic Dream di David Cage, o al già citato Last of Us Parte I e II.
Questa tendenza si accentua nei titoli rivolti a un pubblico ampio ed eterogeneo, il caso più eclatante in questo contesto è rappresentato da Death Stranding. In alcuni rarissimi contesti poi si scavalca l’idea del singolo game designer per identificare un’autorialità diffusa come nel caso di Red Dead Redemption 2 di Rockstar Games, una visione che ingloba totalmente il videogiocatore in un’esperienza di gioco complessa.
I panorami di Red Dead Redemption 2
Torniamo ora al palco dei The Game Awards dove Sam Lake si è esibito con i Gods of Asgard ed altri personaggi/attori presenti nel gioco targato Remedy Entertainment. Dopo l’esibizione, oltre alla consacrazione di Lake, sono partite le solite, sterili, polemiche sui dati di vendita del titolo. Mentre Remedy sta consolidando la sua visione autoriale, a cui ha dato anche il nome di Remedy Connected Universe, ci si chiede se Alan Wake 2 sia un successo o no.
Parafrasando Neil Druckmann se a qualcuno non interessano i temi trattati o li trova offensivi o non condivide la visione proposta da un videogioco, può sempre giocare ad altro, il mercato videoludico è vasto e assai affollato.
L’importanza delle opere autoriali AAA, partendo da colossi come Rockstar Games passando per autori come Ken Levine, per arrivare a personaggi schivi come Fumita Ueda, non risiede unicamente nelle vendite, anche se queste ultime sono importanti, ma nella la capacità di provocare una piccola onda di cultura Pop che dal videogioco si riversa su altri media e non viceversa.
Alessandra Contin, giornalista, scrittrice, videogiocatrice, dal 2000 collabora con il quotidiano La Stampa, La Stampa Web, l’inserto Torino Sette. Per il canale verticale di tecnologia del gruppo GEDI, Italian Tech, è l’esperta di cultura videoludica. Ha collaborato con PlayStation Magazine Italia dalla sua creazione, con una sua rubrica e articoli di cultura videoludica. Ha pubblicato in quaderni di Games Studies, saggi, racconti e romanzi, tra questi “Skill” per Einaudi Stile Libero, considerato il primo romanzo italiano a tema videoludico. Recentemente con la giornalista Francesca Angeleri ha pubblicato per Miraggi Edizioni il romanzo L’EDOnista.