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MUSICHE SPARSE NELL’ALTROVE DEI VIDEOGIOCHI PARTE II

MUSICHE SPARSE NELL’ALTROVE DEI VIDEOGIOCHI

di Federico Ercole

PARTE II

Ancora musiche sparse nell’altrove dei videogiochi, ma questa volta estrapolate dalla memoria nel tentativo che queste possano essere indicative della personalità artistica di chi compone le partiture costituenti le colonne sonore dell’esperienza ludica. Tomi di pentagrammi dalla mole spesso smisurata per la quantità di note contenute, melodie, timbri, ritmi e armonie dilatati in una lunghezza mutevole per adattarsi alla complessità narrativa, visiva e all’estensione del gioco soprattutto moderno.

Ciò che segue non è una rassegna fondata sul merito, una sorta di “i migliori musicisti” della storia del videogioco come ce ne sono tante e persino di utili su internet  in un momento storico di pagelle e classifiche diffuse in ogni categoria dell’arte e non solo, anni durante i quali il possibile trauma scolastico delle valutazioni numeriche e l’agonismo della graduatoria parrebbero essere stati interiorizzati con spietata naturalezza, non rimossi ma comunque rielaborati in una “forma mentis”.

Ecco, dunque, in una forma sparsa e quindi disordinata o indisciplinata e senza dubbio sintetica, una serie di connessioni tra musicisti e opera laddove dovrebbe rivelarsi in maniera esemplare qualcosa (che sia lo stile, l’intenzione artistica o la poetica) di peculiare e distintivo a proposito di un particolare compositore. 

OLD GODS OF ASGARD, ALAN WAKE II

Si tratta di una band fittizia ma solo in parte, una colonna ma d’importanza portante di quel tempio della visione e del rock che è Alan Wake II. Musicisti tradotti in personaggi di un videogioco che dal suo ambito ludico e narrativo edificano una propria biografia umana e mitica che non solo è funzionale al gioco stesso, ma a proiettarli fuori da questo, tanto da essere assai ascoltati sui servizi in streaming. Gli Old Gods of Asgard, “trasformati” in gagliardi, simpatici, turbolenti e indomiti anziani di un epico rock nordico, sono in realtà una band esistente, ovvero i finlandesi Poets of the Fall dalla discografia più che discreta e in alcuni casi eccellente nella sua fusione malinconica tra i ricordi di un “grunge” estinto ed un sinfonismo elegiaco.

I brani dei Poets of the Fall si sono intrecciati ai videogiochi di Remedy sin dai tempi di Max Payne 2 e anche nel secondo Alan Wake ci sono tracce firmate con il loro nome “vero”, ma dal primo episodio e poi e in Control ecco verificarsi con più frequenza la metamorfosi in Old Gods of Asgard, band dalle sonorità diverse e più rock, quasi un “power metal” ma non troppo metallico. Questo simulacro di complesso, quasi unico nella storia del videogame - se si esclude quello di Boz interpretato da David Bowie in The Nomad Souls di Quantic Dream per il quale egli scrisse diverse canzoni originali - assume in Alan Wake II un ruolo centrale nella diegesi, non solo come insieme di personaggi ricorrenti ma come motore dell’azione durante segmenti straordinari di coincidenza e confusione tra musica e gioco. Le canzoni degli Old Gods of Asgard tramutano Alan Wake II in un musical, divengono l’oggetto perduto e mitico di una ricerca, materia salvifica per un rituale di connessione tra mondi nella forma di un definitivo concerto sul tetto di un pulmino.

Una scena tratta da Alan Wake II

I Poets of the Fall, che con Alan Wake II ribadiscono la loro eccentricità e un multiforme talento per le variazioni del rock, (video)giocano di ruolo con loro stessi e la loro musica, non sono attori ma i cantori di un coro greco nell’accezione più alta della Parodia.

MOTOI SAKURABA DARK SOULS

L’oceano stellare e variegato delle opere per videogiochi di Motoi Sakuraba, autore eclettico di musiche che trascorrono dalla serie di giochi di ruolo fantasy “Tales of” alle pseudo-sportive Mario Golf e Tennis, da Smash Bros alle fantascienze di Star Ocean dove gli archi sono orchestrati spesso a blocchi in unisono corale, come nelle sinfonie di Anton Bruckner, nell’imitazione solenne di un suono d’organo.

Malgrado la quantità di lavori eccellenti, qui si citano le composizioni di Sakuraba per la trilogia di Dark Souls dove spesso la musica tace, salvo subentrare potentissima soprattutto nei momenti chiave dei videogame di Hidetaka Miyazaki e From Software, ovvero le battaglie con i boss. Qui la musica, potentissima e sinfonica, ha un compito fondamentale che va oltre quello di essere suggestiva, alimentando lo sgomento e il terrore: i suoni di cori e orchestra contribuiscono a creare quel terrore del giocatore di fronte a nemici che sembrano imbattibili. Non è solo l’immagine del nemico ad essere tremenda ma così è la musica che amplifica la sua aura. Provate a sfidare Artorias o Ornestein e Smaugh abbassando il volume della televisione, zittendo la musica: risulterà più “facile” perché la musica volutamente confonde, atterrisce. Ma senza dubbio, privata della musica, assai meno esaltante risulterà la vittoria.

NOBUO UEMATSU, FINAL FANTASY VI

Musicista magistrale soprattutto nell’elaborare melodie, dei “leitmotiv” in una maniera wagneriana ma dilatati in gruppi tematici che, in questo prolungamento, assumono la dimensione di brani interi. Senza Uematsu a musicarne l’epopea, Final Fantasy ha perso qualcosa del suo “geist”, lo spirito si è mutato in qualcos’altro in maniera più drastica che se da un episodio all’altro venissero a mancare i Chocobo, Bahamuth o Ifrit, ovvero i segni superficiali di una continuità. Malgrado le colonne sonore della dodicesima e soprattutto della quindicesima fantasia finale siano componimenti notevoli, è proprio il “fantasma” nello spartito della fantasia finale seminale che risulta inerte in assenza di Uematsu e, ad esempio, nella comunque maestosa e lirica musica di Final Fantasy XVI composta da Soken, in cui i momenti più alti sono quelli durante i temi scritti all’origine da Uematsu che si inseriscono nel tessuto sinfonico come citazione.

Una delle scene più celebri di Final Fantasy VI, ambientata durante un’opera teatrale

Tra tutte le musiche composte da Nobuo Uematsu ho scelto quella di Final Fantasy VI come più rappresentativa delle idee del musicista, già dal preludio: si vede un minaccioso cielo nero e rosso squassato dai fulmini e, mentre risuona una serie di note ascendenti dal timbro solenne di organo, intervengono due implacabili, tempestosi accordi che stabiliscono uno stato di catastrofe imminente. Poi si sente un arpeggio come quello di una celesta che sembra una negazione del tema favoleggiante “classico” di Final Fantasy nella sgomenta attesa di una risoluzione che non si attua. Quindi, il sipario è pronto ad aprirsi per edificare un contesto narrativo nuovo ed ecco, accompagnata da archi e campane, poi fiati e ottoni (si tratta ovviamente di suoni sintetizzati), comparire una città dalle architetture tutt’altro che fantasy, nere e fantascientifiche, dove si prospetta il ripetersi di un antico errore fatale. Qui quasi tutti i temi musicali connessi al male e ai suoi agenti sono radunati in un profetico, spaventoso gruppo tematico. A questo punto ecco un declivio innevato. Si sente, solo più assordante, il respiro del vento. Ci sono tre personaggi a bordo di quelli che sembrano delle specie di “mecha”, cosa inusuale per un Final Fantasy fino ad allora, e tra loro c’è una donna dai capelli verdi. Non sappiamo ancora chi ella sia ma quando le macchine cominciano ad ascendere il monte, bersagliate dalla neve, infine risuona il suo straordinario insieme tematico quasi schubertiano, con quella melodia epica e insieme intimista, la lenta marcia di un viandante dolente nelle terre algide del Winterreise. Non sono trascorsi che pochi minuti, non abbiamo ancora ascoltato nessun tema familiare e ciò che vediamo è inusuale ma, lo si sente, chi sta giocando è dentro un Final Fantasy, lo “spirito” risiede in quei suoni.

Nelle decine di ore seguenti Uematsu, oltre a edificare leitmotiv indimenticabili per i vari personaggi, ci farà “cantare” in un teatro, ci illustrerà i suoni spettrali di un treno che corre verso l’oltretomba, ci indurrà a giocare al tempo di uno pseudo-jazz perverso tra i vicoli malfamati di una città di criminali. Cose, spazi e persone hanno una propria musica che descrive, analizza o allude. Non la musica di una fantasia finale ma la musica intesa come fantasia finale.

GARETH COKER, I DUE VIAGGI DI ORI

Le colonne sonore delle due tristi quanto bellissime, tenebrose e luminose avventure di Ori compongono un materiale musicale soprattutto illustrativo, che si apre tuttavia in maniera sconvolgente, a dolorosi e sentimentali momenti di emozione pura quando l’azione è interrotta dal racconto. Gareth Coker, compositore inglese laureato alla Royal Academy of Music, ha scritto per i due giochi una musica che si adegua alle meravigliose illustrazioni in due dimensioni di Moon Studios, suoni che diventano la voce della natura spesso sconvolta e corrotta attraversata da Ori, terre che talvolta raccontano proprio con la musica il loro passato splendente perduto nella corruzione attraverso melodie che sono naturalistiche e “non umane”, persino geologiche. Per dipingere di suoni le varie ambientazioni di Ori, Gareth sperimenta con i timbri non solo per suggerire un colore, ma per fare corrispondere le materie di uno strumento con la natura: legni e fiati per le selve, archi per suggerire l’aria furiosa di rovine battute dal vento, voci femminili che trascorrono limpide come l’acqua di immoti laghi...

Con la colonna di Coker i panorami di Ori and the Blind Forest e del suo seguito ancora più ispirato, anche se meno sperimentale nella forma, acquistano una vita che non scaturisce solo dall’immagine ma dalla dialettica che questa esprime con la musica: prima di conversare con il giocatore la natura si esprime con se stessa in un sovrumano dialogo interiore. 

YOKO SHIMOMURA, KINGDOM HEARTS

Il numero e la varietà di videogiochi musicati dalla compositrice Yoko Shimomura sono impressionanti, trascorrendo dalla collaborazione con Isao Abe per Street Fighter 2 a Super Mario RPG, da Radiant Historia a Parasite Eve, da Final fantasy XV a Mario + Rabbids Sparks of Hope per il quale ha lavorato con il suddetto Gareth Coker e Grant Kirkhope - celebrato autore delle colonne sonore di Banjo-Kazooie, Kingdom of Amalur e altri giochi più che famosi.

Yoko Shimomura, nelle cui opere sono evidenti lo studio e l’amore per Robert Schumann, Felix Mendellsohn, Franz Liszt e l’ultimo Beethoven per corrispondenze melodiche e timbriche, non trascende tuttavia l’arte della contaminazione con musiche contemporanee e pop, con il rock e con il jazz. Si tratta sempre di musica sentimentale oltre che concettuale, perché sembra mossa da un’introspezione, una riflessione personale sulla realtà e il sé, prima che pensata per essere posta in una forma.

I protagonisti di Kingdom Hearts: Sora, Paperino e Pippo

Risulta esemplare tra tutte le sue grandi composizioni la colonna sonora di Kingdom Hearts, non solo per la bellezza dei suoi temi, per l’epica che cede all’intimismo, per i suoi chiaroscuri, ma per il lavoro sulle melodie dei classici disneyani in un gioco di citazioni quasi barocco e assai colto che amplifica e idealizza l’incontro tra l’immagine del gioco giapponese a quella dei mondi cartoonistici di Topolino e compagnia con precisione e poetica. L’incontro tra Final Fantasy e Walt Disney sarebbe parso un’utopia, qualcosa di inattuabile prima di giocare infine Kingdom Hearts, ma le musiche di Shimomura hanno dimostrato il contrario anche in maniera indipendente dal gioco, attuando ciò che sembrava impossibile con una poetica, un’ispirazione e un’intelligenza mirabili.

BEAR McCREARY, GOD OF WAR

Bear McCreary è un musicista noto soprattutto per le sue colonne sonore extra ludiche, musiche assai celebrate come quelle di Battlestar Galactica e The Walking Dead, opere che dimostrano il suo talento nel reagire all’immagine non interattiva, la sua affinità con cinema e televisione. Forse proprio per questo le colonne sonore per i videogiochi più ispirate e riuscite scritte da McCreary sono quelle per i due God of War norreni: questo perché riescono ad adattarsi, e persino variare con arte adattandosi alla ritmica ludica del giocatore, alla fluvialità cinematografica di queste due opere, prolungati piani-sequenza di un cinema impossibile attuato invece dal videogioco, che trascorrono nell’illusione di una sublime non interruzione.

NABUKO TODA,  LOVE THEME METAL GEAR SOLID 4

 

Nabuko Toda è una musicista, strumentista e teorica la cui importanza è talvolta occultata da quella di Harry Gregson-Williams per ciò che concerne Metal Gear Solid 3 e 4, nei quali il suo lavoro è fondamentale senza nulla togliere a quello dell’autore britannico noto soprattutto per le colonne sonore di colossal hollywoodiani come The Rock di Michael Bay o Prometheus di Ridley Scott.

Solid Snake, eroe di Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots

Di Nabuko Toda qui si considera il meraviglioso e luttuoso Love Theme da Metal Gear Solid 4, una canzone il cui testo è scritto da Hideo Kojima - e tradotto ed eseguito da Jackie Presti, una teorica della voce e dei linguaggi oltre che terapista del canto. Quando sentiamo per la prima volta Love Theme, che comincia con un violino solo che si esprime quasi grave come una più malinconica viola, perché suona sulla terza e quarta corda, trascorrono le immagini di una guerra che non finisce mai, così che quest’amorosa, dolente musica trascorre come un “requiem”, dissonante con la visione eppure a questa risulta così connessa, un abbraccio doloroso tra amore e morte. Love Theme è uno dei momenti più alti, nel suo essere musica e significato esplicito, di tutta la saga di Metal Gear.

YASUNORI MITSUDA, XENOGEARS

Yasunori Mitsuda e le affinità elettive con Tetsuya Takahashi e i suoi “xenogiochi”. Anche questi, come Final Fantasy senza Uematsu, sul punto di collassare con la sfortunata assenza delle sue musiche, cosa successa con lo spesso trasandato Xenosaga 2. Sebbene Mitsuda, che ha cominciato la sua carriera con la musica come tecnico del suono per Final Fantasy V e Secret of Mana, abbia scritto il suo capolavoro più indicativo con la colonna sonora di Chrono Cross, conviene citarlo per le sue comunque altissime “xenocomposizioni” proprio perché vi si esprime quella suddetta affinità, la corrispondenza tra pensiero e suono, tra il musicista e Takahashi, soprattutto nell’opera che comincia tutto, ovvero Xenogears. La colonna sonora di Mitsuda, con le sue orchestrazioni, le sperimentazioni sinfonico-elettroniche, i cori e le voci soliste, alimenta la tragica e allucinata coincidenza tra passato, futuro e presente di Xenogears, la convivenza psicotica di più persone in una stessa coscienza, la connivenza tra religioni diverse, filosofie, psicanalisi e misticismi… insomma il pensiero musicale dell’autore sembra scaturire da una dialettica naturale, sorta da una cultura affine e non imposta da un “brainstorming” con Takahashi.

Inoltre, ma questa è una considerazione a posteriori alimentata da quel senso di incompiutezza che lascia in chi la esperisce l’ultima, lunghissima parte di Xenogears in cui, sotto il peso della sua magnifica ambizione, il gioco pare annullarsi e assume l’andamento romanzesco e poco interattivo di eventi narrati da “interminabili” didascalie, interrotte quasi solo da complessi combattimenti con i boss. Xenogears sembra qui incompiuto e la musica, nel tono, nelle intenzioni, si adegua con successo a questa fallimentare dimensione. Ma qui il fallimento non è da considerarsi in un’accezione negativa, così come quest’incompiutezza, perché in Xenogears, e la musica lo sottolinea in maniera drastica, c’è la grandezza delle grandi “incompiute” della storia della sinfonia, quelle di Franz Shubert, di Anton Bruckner, di Gustav Mahler. Opere incompiute ma compiute in una maniera superiore e postuma.

LA FINE DELLO SPARTITO

Manca sempre qualcosa, manca sempre qualcuno. Sarà forse il lettore a completare gli elenchi parziali di queste note sparse, a prolungarli con i propri ricordi di musiche che qui sono solo tra le righe o non si “sentono” affatto, aggiungendo suoni altri a questi suoni qui sopra. Che sono, appunto, proprio suoni.

Federico Ercole scrive di videogiochi per Il Manifesto, Dagospia ed Everyeye. Ha collaborato con Rolling Stone Italia, Playstation Official Magazine e Sky.it. Ha lavorato per il programma Fuori Orario di Enrico Ghezzi per le visioni videoludiche. Scrive inoltre di cinema, musica e letteratura.

Best Applied Game: le nomination

La Giuria composta dai giornalisti Carlo Terzano, Fabrizia Malgieri e Federico Ercole, ha valutato le numerose candidature ricevute e ha selezionato i finalisti del Best Applied Gamepremio assegnato al miglior applied game italiano degli iniziativa Italian Video Game Awards di IIDEA..
Quest'anno il premio sarà duplice: verrà eletto sia il Best Applied Game 2022 che il Best Applied Game 2023.
Le nomination per il Best Applied Game 2022 sono:
  • Nostalgici Anonimi di Hufu Interactive Storytelling
  • Ross e la Sgrammanebbia di Tiny Bull Studios
  • Toursikon di effenove
Le nomination per il Best Applied Game 2023 sono:
  • MagNet: Missione Magna Grecia di Digital Lighthouse
  • Smogville - Fino all'Ultimo Respiro di Synesthesia
  • Work Down di Game2Value
I vincitori verranno proclamati durante la cerimonia di premiazione che si terrà sabato 27 gennaio alle ore 11.30 presso la sala Zelda dell'Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone.

AUTORIALITÀ NEI VIDEOGIOCHI AAA È POSSIBILE E NECESSARIA

di Alessandra Contin

C’è un uomo ed è reale, si chiama Sami Antero Järvi. C’è il personaggio di un videogioco, si chiama Alex Casey ed è un agente dell’FBI. C’è un personaggio, si chiama Alex Casey ed è il protagonista di una serie di romanzi polizieschi di successo scritti da un autore fittizio che si chiama Alan Wake.

C’è poi un palco reale, quello dei The Game Awards 2023, dove si esibisce la band assolutamente fittizia degli Old Gods of Asgard che però entra nella top 10 globale degli album più scaricati su iTunes grazie al disco Rebirth: Greatest Hits.

Alan Wake 2, di Remedy, ai TGA 2023, ha vinto tre dei più importanti premi in palio: narrativa, miglior direzione artistica e miglior regia. Poco dopo l’evento, Variety ha inserito il suo direttore creativo, Sam Lake, tra le 500 persone più influenti nell'industria globale dei media.

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I protagonisti di Alan Wake 2

Il ciclone Alan Wake 2, oltre a sorprendere, ha riportato in auge un discorso sopito da tempo, quello del videogioco d’autore o se preferite quello dell’autorialità nelle opere videoludiche. Si tende ad associano tale dicitura all’emergere di alcuni game designer nipponici legati dell'era d’oro PlayStation, momento in cui hanno potuto firmare le proprie opere. In quel periodo emergono figure come Hideo Kojima, Shinji Mikami o Fumito Ueda. Anche se il videogioco d’autore ha una storia ben più lunga, questi designer hanno imposto prepotentemente la loro visione sull’esperienza totale che il videogiocatore ha giocando alle loro opera. I loro videogiochi incorporano canoni estetici facilmente identificabili e non sempre legati da altri media, come il tanto citato cinema.

Troppo spesso un autore come Kojima è etichettato come il maestro della regia, viene invece trascurata la sua capacità di usare musica fortemente evocativa nella realizzazione della sua visione. Analizzando il piano sequenza di Metal Gear Solid: Ground Zeroes e il momento in cui entra il brano Here’s to You, composto da Joan Baez e orchestrato da Ennio Morricone, si comprende l’emozione che l’autore vuole suscitare, che tipo di immagini desidera richiamare nella mente del giocatore. Un’impronta riconoscibile che nel caso, ad esempio, di Fumito Ueda è totalmente contraria dato che il game designer lavora ed esalta l’architettura dei silenzi.

L’autorialità non è dunque la mera cooptazione di canoni e stilemi appartenenti ad altri media applicati al videogioco, ma una visione personale che l’autore ha del medium stesso e del suo rapporto con il videogiocatore. Medium che a volte viene negato per ricordare che un videogioco è fatto di codice, come dice Shigeru Miyamoto, ma anche dell’immedesimazione e dalla capacità immaginifica di chi lo gioca. È quello che ribadisce Neil Druckmann in The Last of Us Left Behind quando fa giocare Ellie, e di conseguenza il giocatore, a un vecchio picchiaduro arcade solo immaginandolo, usando il potere della parola.

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Un’immagine con Ellie (sulla sinistra), protagonista della serie The Last of Us.

L’autore è dunque, nella sua essenza universale, colui che plasma un’opera con una visione specifica, traducendola in una serie di scelte formali che conferiscono al suo lavoro un carattere peculiare e altamente riconoscibile. La cifra stilistica si manifesta attraverso l’insieme dei suoi lavori, creando una coerenza distintiva e, in alcune circostanze, anche una singola opera può presentare elementi così peculiari da renderla inequivocabilmente autoriale.

Nel campo dei videogiochi si riconosce, soprattutto oggi, una chiara volontà “autoriale” al mondo della produzione indie, dove gli sviluppatori hanno maggior libertà artistica pur perseguendo un intento commerciale. Quando si parla invece di videogiochi AAA, le opere particolarmente autoriali sono sovente fortemente divisive, come i titoli sviluppati dalla Quantic Dream di David Cage, o al già citato Last of Us Parte I e II.

Questa tendenza si accentua nei titoli rivolti a un pubblico ampio ed eterogeneo, il caso più eclatante in questo contesto è rappresentato da Death Stranding. In alcuni rarissimi contesti poi si scavalca l’idea del singolo game designer per identificare un’autorialità diffusa come nel caso di Red Dead Redemption 2 di Rockstar Games, una visione che ingloba totalmente il videogiocatore in un’esperienza di gioco complessa.

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I panorami di Red Dead Redemption 2

Torniamo ora al palco dei The Game Awards dove Sam Lake si è esibito con i Gods of Asgard ed altri personaggi/attori presenti nel gioco targato Remedy Entertainment. Dopo l’esibizione, oltre alla consacrazione di Lake, sono partite le solite, sterili, polemiche sui dati di vendita del titolo. Mentre Remedy sta consolidando la sua visione autoriale, a cui ha dato anche il nome di Remedy Connected Universe, ci si chiede se Alan Wake 2 sia un successo o no.

Parafrasando Neil Druckmann se a qualcuno non interessano i temi trattati o li trova offensivi o non condivide la visione proposta da un videogioco, può sempre giocare ad altro, il mercato videoludico è vasto e assai affollato.

L’importanza delle opere autoriali AAA, partendo da colossi come Rockstar Games passando per autori come Ken Levine, per arrivare a personaggi schivi come Fumita Ueda, non risiede unicamente nelle vendite, anche se queste ultime sono importanti, ma nella la capacità di provocare una piccola onda di cultura Pop che dal videogioco si riversa su altri media e non viceversa.

 

Alessandra Contin, giornalista, scrittrice, videogiocatrice, dal 2000 collabora con il quotidiano La Stampa, La Stampa Web, l’inserto Torino Sette. Per il canale verticale di tecnologia del gruppo GEDI, Italian Tech, è l’esperta di cultura videoludica. Ha collaborato con PlayStation Magazine Italia dalla sua creazione, con una sua rubrica e articoli di cultura videoludica. Ha pubblicato in quaderni di Games Studies, saggi, racconti e romanzi, tra questi “Skill” per Einaudi Stile Libero, considerato il primo romanzo italiano a tema videoludico. Recentemente con la giornalista Francesca Angeleri ha pubblicato per Miraggi Edizioni il romanzo L’EDOnista.

GLI ARTISTI ITALIANI (DEI VIDEOGIOCHI) HANNO ANCORA BISOGNO DI MECENATI

di Carlo Terzano

Nel precedente articolo a mia firma ci eravamo lasciati con la promessa di analizzare da vicino i dati del mercato globale dei videogiochi e, soprattutto, mettere sul vetrino del nostro microscopio i costi di sviluppo dei videogiochi “tripla A” in modo da comprendere perché il ritardo imprenditoriale italiano impedisca di fatto alle software house del Bel Paese di sviluppare i titoli di punta, quelli cioè che dominano le classifiche.

NON CHIAMATELI GIOCHINI

Secondo il report di Klecha & Co, investment bank europea specializzata nei settori tech, il mercato dei videogiochi a livello mondiale nel 2022 valeva 336 miliardi di dollari e sulla base di questa traiettoria dovrebbe arrivare a 522 miliardi entro il 2027, segnando un +9,2%. Di report simili, giusto sottolinearlo, se ne producono decine ogni anno e i numeri differiscono puntualmente. In questa sede citiamo proprio questo non perché lo si ritenga più affidabile degli altri, quanto per via del fatto che dedica ampio spazio al comparto startup. Secondo gli analisti che lo hanno redatto, solo nel 2022 le realtà più giovani e arrembanti hanno raccolto oltre 13 miliardi di dollari da fondi di venture capital.

AAA INVESTITORI CERCASI

Per avere un metro di paragone, in Italia nel 2022, uno degli anni migliori per le startup “tricolore”, l’ammontare complessivo investito da operatori domestici ed esteri si è attestato a 2,2 miliardi di euro in 370 operazioni (nel 2021 era pari a 1,9 miliardi con 317 round, aumentati del 17%). E parliamo di soldi confluiti in startup di ogni genere: dall’healthcare & lifesciences, al food, passando per la space economy, il fintech, l’insurtech con la parte del leone rappresentata da quelle ICT (Information and Communication Technologies). Cosa vuol dire questo? Che le startup videoludiche sono rimaste sostanzialmente a bocca asciutta.

Abbiamo già detto che il comparto italiano sta facendo piccoli passi avanti, che le startup iniziano a diminuire e che oggi quattro imprese su dieci rientrano nella definizione di PMI: era il 30% nel 2021 e appena il 17% nel 2018. Secondo la fotografia scattata da IIDEA - l’Associazione di riferimento che rappresenta l’industria in Italia - per l’anno 2022, sono aumentate pure le imprese con un numero di addetti tra i 10 e i 20, passate dal 15% del 2021 al 20% attuale. Un richiamo doveroso ai dati visti nel precedente articolo perché adesso è venuto il momento di scendere nel dettaglio e capire quali siano le forme di sostentamento della nostra industria.

Solo il 19% delle realtà videoludica si sostenta col private equity, percentuale di fatto tallonata da quelle che ricorrono alle piattaforme di fund raising (13%) mentre il venture capital è ancora più giù, inchiodato al 7%. Paradossalmente, è dunque più facile andare in banca, spiegare il gioco a cui si sta lavorando a un impiegato sessantenne che puntualmente aggrotterà le sopracciglia e ottenere un prestito: le realtà che ricorrono al credito bancario sono infatti il 10%. Insomma, abbiamo un enorme bisogno di investitori privati, connazionali ed esteri o il mercato difficilmente potrà decollare.

Ciò detto, resta da capire con quali soldi sviluppano i propri sogni le software house italiane. L’86% di coloro che ha risposto al sondaggio di IIDEA ha ammesso di aver fatto ricorso a ciò che aveva in tasca, mentre la seconda scelta (30%) è rivolgersi a un publisher. Ora, richiamiamo ancora altri dati visti la volta scorsa relativi al fatturato generato dalle imprese di produzione: nel 2022 si aggirava tra i 130 e i 150 milioni di euro. Tenuto a mente quanto detto sinora, si capisce che la combinazione di questi due fattori - impossibilità di trovare finanziatori e scarsi importi - rendano di fatto impossibile alle software house italiane lo sviluppo di un prodotto che possa competere coi grandi. Perché? Per il semplice fatto che sviluppare un titolo “tripla A” costi quanto fare un kolossal cinematografico.

QUANTO COSTA SVILUPPARE UN VIDEOGAME “TRIPLA A”?

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Starfield di Bethesda Game Studios

Precisiamo subito che non è facile rispondere visto che né le software house né i produttori amano rivelare i costi dietro allo sviluppo di un titolo. Ci si muove, insomma, nel campo delle supposizioni. Ma quanto può essere costato fare un videogioco come Starfield, ultima fatica di Bethesda nonché prodotto di punta di Microsoft per la sua line up di fine estate-inizio autunno? Secondo quanto ha riportato sul proprio profilo LinkedIn un noto insider dell’industria dei videogiochi, ex-Accenture Gaming Lead, David Reitman, il gioco di ruolo spaziale avrebbe richiesto un budget di 200 milioni di dollari e un team di 500 persone. Purtroppo, non sono indicazioni molto precise, tanto più considerato l’ampio periodo temporale preso in considerazione per lo sviluppo: Todd Howard di Bethesda, parlando ai microfoni di VentureBeat, qualche tempo fa disse che iniziò a pensare al concept alla base di Starfield più o meno nel 2008 mentre lo sviluppo vero e proprio del gioco sarebbe iniziato dopo il debutto di Fallout 4, quindi verso la fine del 2015. Reitman non ci dice se i 200 milioni di dollari riguardino solo lo sviluppo o anche attività di marketing e, aspetto più importante, se quel mezzo migliaio di persone coinvolte nel processo creativo abbia lavorato al progetto dall’inizio alla fine, costituisca una media oppure il picco maggiore.

Qualche informazione in più, soprattutto a livello economico, ci può comunque arrivare comparando il costo presunto di Starfield ad altri tripla A di eguale caratura. Immettere sul mercato Cyberpunk 2077 ha richiesto l’esborso di 316 milioni, di cui 173,8 milioni per la realizzazione e il resto per attività di marketing. Scartabellando i documenti del fascicolo FTC contro Microsoft sull’acquisizione di Activision Blizzard è venuto fuori che The Last of Us Parte 2 è costato 220 milioni di dollari mentre Horizon Forbidden West, la prima killer application di PlayStation 5, 212 milioni di dollari. Anche il solo sviluppo di Red Dead Redemption 2 sarebbe costato cifre simili.

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Horizon Forbidden West

Cosa vogliamo dire con questo? Che, mentre l’ultimo rapporto dell’Associazione italiana di riferimento stima che il fatturato complessivo degli operatori italiani sia compreso tra i 130 e i 150 milioni di euro, sviluppare un videogioco tripla A costa molto di più. È questa l’amara realtà restituita dai numeri. Il nanismo imprenditoriale italiano rischia di riverberarsi nell’assenza di titoli tripla A. Urgono sussidi, come abbiamo visto nel precedente articolo, perché le aziende estere sono foraggiate dai governi e se l’Italia non farà altrettanto le nostre realtà si ritroveranno a gareggiare in situazione di concorrenza sleale, ma soprattutto occorre trovare linee di credito e investitori pronti a scommettere sul talento e sulla creatività degli artisti italiani. Il nostro Paese ha dato moltissimo all’arte in ogni epoca, ma l’estro creativo da solo avrebbe fatto poco: fondamentale è stata l’opera dei mecenati.

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Carlo Terzano è caporedattore di StartupItalia. Ligure, laureato in legge, formatosi professionalmente al Master post-laurea della Scuola di giornalismo dell’Università milanese IULM è giornalista politico ed economico, ha collaborato e collabora anche con Radio 24, R101, Formiche e Corriere Innovazione e Lettera43.it.

 

L’IMPORTANZA DI ESSERE INDIE NEL FANTASTICO MONDO DEI VIDEOGIOCHI

di Alessandra Contin

Nel mondo frenetico degli affari videoludici abbiamo assistito a una recente stagione di shopping compulsivo in cui i giganti dell'industria hanno accumulato studi di sviluppo a un ritmo senza precedenti. Tuttavia, mentre questi mega-agglomerati consolidano le loro posizioni di dominio, sottolineo il ruolo vitale degli sviluppatori indipendenti, di voci fuori dal coro che portano visioni distintive all’interno dell'industria, anche legate ai territori in cui operano. Oggi colossi come Tencent, Microsoft, Sony ed Embracer, rischiano di generare una sequenza infinita di opere che condividono somiglianze inesorabili. Questo fenomeno che ricorda un problema che sta affrontando l'industria del cinema e si traduce in un flusso narrativo omogeneo senza particolari guizzi di sperimentazione e originalità e che, con un po’ di ironia, potremmo chiamare la maledizione dei super eroi della Marvel.
Nel più giovane mondo dei videogiochi il rischio si manifesta in modo evidente. La proliferazione di sequel, prequel, reboot, remake e spin-off di saghe di successo toglie aria a nuove idee e potenziali opere originali. La produzione di nuove proprietà intellettuali è penalizzata dall'insostenibilità del modello di sviluppo che affligge i videogiochi AAA. La “pop-polarizzazione” del medium, l’aumento verticale dei costi di sviluppo, le irrealistiche promesse del marketing che generano eccessivo hype rischia, come si è già visto nel recente periodo, di spaccare nettamente in due il mercato, producendo da un lato successi da GOTY e dall’altro tonfi clamorosi che portano anche alla chiusura degli studi.

hellblade

La protagonista di Hellblade Senua’s Sacrifice, interpretata da Melina Juergens.

In questo firmamento che brilla celando accuratamente le sue ombre, gli sviluppatori indipendenti, grazie anche all’affermarsi di Steam, lo store digitale di Valve, hanno scavato una loro consolidata nicchia di innovazione e sperimentazione, sfidando le norme convenzionali e i cliché propri del medium. E, dobbiamo riconoscerlo, anche dell'industria nel suo complesso. Prodotti come Hellblade Senua's Sacrifice, il cui sviluppo è stato totalmente finanziato da Ninja Theory, studio che in seguito, casualmente, è stato acquisito da Microsoft, o Inside, il capolavoro firmato da Playdead che nel 2016 ha vinto ben 4 BAFTA e due Game Awards, hanno portato nel campo videoludico temi e narrazioni mature e complesse che raramente trovavano spazio nelle grandi produzioni. Alcuni titoli indipendenti sviluppati nell’ultimo decennio, grazie anche al buon successo di critica e di pubblico, sono diventati strumenti di esplorazione narrativa, o di dinamiche di gameplay, per produzioni AAA.
Se questa tendenza che si sta consolidando immette linfa vitale nei grossi studi di sviluppo, dall’altra fa riflettere su cosa voglia dire esattamente essere indie.
Dopo aver varcato i confini dell'underground per diventare parte integrante dell'industria, come dimostrano con presenza fissa a eventi di rilievo quali The Game Awards o i BAFTA, le produzioni indipendenti stanno cercando una nuova posizione, anche filosofica, perché i successi hanno riportato sul tavolo l’annosa discussione su cosa definisca realmente un gioco indie. Se in passato il termine aveva una collocazione precisa, e per comprenderla basta recuperare il documentario del 2012 Indie Game: The Movie diretto da James Swirsky e Lisanne Pajot, oggi i confini sono sempre più sfumati perché spesso vediamo grossi e medi publisher intenti nell'individuare e finanziare o supportare attivamente i piccoli progetti dalle grandi potenzialità.

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Il randagio di Stray osserva il giocatore con i suoi grandi occhi.

Un esempio puntuale di questo meccanismo è quello di Stray. Il titolo del 2022, inizialmente sviluppato da BlueTwelve, studio che si è ingrandito attorno al progetto sino a occupare venti persone, inizialmente ha catturato l’attenzione di Annapurna Interactive, poi quella di Shawne Benson, amante dei gatti e, soprattutto, Direttrice Responsabile del settore Acquisizioni di Terze Parti di Sony Interactive Entertainment che l’ha voluto in esclusiva temporale per le console PlayStation. Il Randagio cyberpunk ha vinto un Game Awards come miglior debutto per un videogioco indipendente e un Golden Joystick Awards come videogioco dell'anno PlayStation, dividendo nettamente sia critica, sia pubblico, sul concetto stesso di indie.
A complicare questo discorso, sempre nel 2022, ci sono stati altri due titoli: Return to Monkey Island di Ron Gilbert e Cult of the Lamb sviluppato da Massive Monster e pubblicato da Devolver Digital. Analizziamo anche un esempio estremo del 2023, Baldur’s Gate 3, acclamato gioco di ruolo del Larian Studios che non si appoggia a nessun publisher ma che dispone di una licenza molto forte, quella legata al mondo di Dungeons & Dragons, di uno sviluppo molto vicino a un titolo AAA che porta di conseguenza a un costo al pubblico in linea.

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Alcuni degli eroi di Baldur’s Gate 3 di Larian Studios

Come si può ben capire indie è diventata una denominazione d’origine molto difficile da attribuire, anche perché esistono publisher, non esattamente piccoli e privi di mezzi come Annapurna Interactive e Devolver Digital, che si pubblicizzano sotto questa dicitura.
Più che cercare di ricostruire esattamente la genesi di un videogioco sarebbe meglio abbracciare l’idea che essere indie è un’attitudine. Una predisposizione punk al medium, che porta molti sviluppatori e studi, anche supportati da publisher, a conservare una totale autonomia dell’intero processo produttivo e creativo. E difendere questa posizione è più che mai importante nell’attuale contesto.

 

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 Alessandra Contin, giornalista, scrittrice, videogiocatrice, dal 2000 collabora con il quotidiano La Stampa, La Stampa Web, l’inserto Torino Sette. Per il canale verticale di tecnologia del gruppo GEDI, Italian Tech, è l’esperta di cultura videoludica. Ha collaborato con PlayStation Magazine Italia dalla sua creazione, con una sua rubrica e articoli di cultura videoludica. Ha pubblicato in quaderni di Games Studies, saggi, racconti e romanzi, tra questi “Skill” per Einaudi Stile Libero, considerato il primo romanzo italiano a tema videoludico. Recentemente con la giornalista Francesca Angeleri ha pubblicato per Miraggi Edizioni il romanzo L’EDOnista.

BEST APPLIED GAMES: LA PREMIAZIONE SABATO 27 GENNAIO AL ROMEVIDEOGAMELAB24

Italian Video Game Awards è una manifestazione dedicata alla valorizzazione delle eccellenze nel mondo dei videogiochi. Si compone di una serie di categorie di premi, a ciascuna delle quali corrisponde l’assegnazione di una statuetta al vincitore a forma di coda di drago dorata.
A partire dall’edizione 2019 è istituita la categoria Best Applied Game, premio per il miglior applied game italiano.
L’edizione 2024 di Rome Video Game Lab prevede l’assegnazione di due premi Best Applied Game, uno con riferimento agli applied game rilasciati nel 2022 e uno con riferimento agli applied game rilasciati nel 2023.
Sono arrivate 6 candidature per il 2022 e 7 per il 2023.
La Giuria,  annunciata prima della cerimonia di premiazione,  sarà composta da esperti del settore videoludico  valuterà le candidature e identificherà tre nomination per il Best Applied Game 2022 e tre nomination per il Best Applied Game 2023. Le nomination verranno rese pubbliche entro il 18 gennaio.
Durante la premiazione, che avrà luogo SABATO 27 GENNAIO nel corso di Rome Video Game Lab, a Roma, presso l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, verranno ufficialmente proclamati i titoli vincitori delle categorie Best Applied Game 2022 e Best Applied Game 2023. Tutti i rappresentanti dei titoli in nomination parteciperanno alla premiazione.